Ciao a tutti.

Ho creato questo blog allo scopo di condividere con voi la mia passione per la scrittura e per le ragazze dotate di seni fuori dal comune.Ho scritto un romanzo, Lisa & Milena, che pubblicherò a puntate, capitolo per capitolo su questo blog.
Confido nei vostri commenti e nelle vostre critiche.
Per ciò vi ringrazio fin d'ora, Flower.



traduttore

lunedì 22 marzo 2010

Capitolo Settimo

Fu raggiunta da Gunther mentre scendeva velocemente la scalinata dell’edificio universitario, i grossi seni che sussultavano ad ogni gradino sotto la camicetta. Sbattè la portiera dell’auto che li attendeva, seguita dall’uomo.
Tornarono verso Berlino in completo silenzio, anche se la tensione che emanava il corpo di Lisa era assolutamente tangibile: La ragazza sembrava sempre sul punto di esplodere: in un paio di occasioni si girò verso Gunther, come ad iniziare un discorso, per poi sbottare e tornare a fissare il vuoto davanti a sé. Non accettava che ciò non potesse accadere.
Solo quando furono nell’ascensore dell’hotel, soli, proruppe: ”E secondo te io dovrei farmi ingravidare come una vacca per avere un seno così? Domani torno ad Ibiza, vaffanculo Bohm e la DDR!”

Si chiuse nella suite dell’hotel, isolata da tutti e ordinò la cena in camera. Era ciò che faceva solitamente quando girava per il mondo: prendeva possesso delle stanze d’albergo, quasi a cercare di violentarle, nel loro ordine sempre uguale. Spargeva vestiti e scarpe ovunque, giornali, resti di cibo e bottiglie di birra. I borsoni aperti sui divani, calze e reggiseni che ne uscivano.
Fece una lunga doccia, si incremò accuratamente come ogni sera e si mise un pigiama da uomo, di seta color vinaccia. Poi si buttò sul letto, telecomando in mano, mentre con l’altra rovistava nei contenitori di cartone di cibo giapponese posati in un vassoio, sulle coperte.
Come sempre in questi casi, aveva preso due compresse di Zolof e l’effetto rilassante si fece subito sentire. Nella penombra, rotta dai bagliori della televisione senza audio, non riusciva a togliersi dalla testa quelle foto di Greta viste il pomeriggio.
Si chiese dove fosse, in quel preciso momento, quella ragazza degli anni settanta, tedesca della DDR.

La mattina successiva Gunther bussò delicatamente alla sua porta. La trovò ancora stesa sul letto, la televisione accesa.
“Dormito bene?”
“Come un angelo” – disse Lisa alzandosi e stirandosi, le braccia stese verso l’alto, gli enormi seni protesi in avanti. L’umore era ritornato quello di sempre e dopo la colazione, consumata nel salottino della suite, acconsentì di buon grado quando Gunther le propose di fare un giro per Berlino.
Uscirono dal garage dell’albergo in una bella giornata di sole. L’auto nera imboccò Postdamer Strasse, attraversò i seriosi quartieri ottocenteschi e presto uscì dal caos del centro abitato.
“Dove andiamo?” chiese Lisa.
“Ti voglio fare veder una cosa. Una sorpresa.”
Erano ormai uscita dalla città e si dirigevano verso la zona ad Ovest di Potsdam, dove molti berlinesi possiedono case di vacanze, immerse nei boschi o sulle rive del lago. Imboccarono una strada secondaria che dolcemente saliva su di una collina: ad un tratto un grosso cancello aperto, da cui partiva un viale alberato. Giunsero dopo poco al cospetto di una magnifica villa di campagna, i muri di calda pietra ambrata, le ampie finestre bianche. L’auto si fermò sullo spiazzo ghiaiato.
“Allora, cosa ne dici?” disse Gunther.
“E’...è tua?”
“Ora sì, l’ho comprata qualche mese fa. La casa in cui sono nato e cresciuto, prima di lasciare la Germania Est.” Lo disse con un moto di orgoglio, come di chi con fatica si è riappropriato della sua vita passata, e con essa dei suoi ricordi.
“E’ splendida, veramente!”
Aprì il portone e iniziarono a percorrere le sale vuote illuminate dai raggi del sole che entravano obliqui dalle finestre. Era una lussuosa dimora di campagna ottocentesca, dai pavimenti in rovere e le pareti tappezzate in tessuto. Salotti, cucine, locali per la servitù, stanze da letto: ovunque mobili coperti da drappi bianchi.. Gunther camminava deciso per i corridoi. Raggiunsero, al termine di uno di questi, una porta, a differenza delle altre chiusa a chiave.
L’uomo estrasse un mazzo dalla tasca e l’aprì. Entrarono.
Si trattava della vecchia serra, un’ampia sala dal soffitto parzialmente vetrato, lunga forse venticinque metri ed ampia poco meno della metà. Il contrasto con tutto il resto fu subito evidente; lì tutto era lindo e ordinato, file di scaffali, banconi da lavoro, armadi, tre postazioni di lavoro con video collegati in rete. Un laboratorio per analisi cliniche, pensò Lisa. Poi riandò con la mente inevitabilmente, a Greta e a tutto quello che avevano visto e sentito il giorno precedente.
Gunther sembrò leggerle nel pensiero, perché disse: “Tutto quello che hai sentito ieri dal mio amico Hans io lo sapevo già da tempo, ma volevo che tu ne avessi una prova diretta. Ciò che egli ha fatto nel passato è stupefacente, ma erano appunto i tardi anni settanta, così ho pensato qualche mese fa, con i proventi della mia attività, di finanziare il proseguimento delle sue ricerche.”
“Gunther,” - fece la ragazza – “l’esperienza di ieri è stata qualcosa di straordinario: ieri sera non riuscivo a prendere sonno ripensandoci, e quando ci sono riuscita ho sognato di avere un seno gigantesco, come quello di quella ragazza, di muovermi quasi sostenendolo con le mani tra decine di uomini che mi guardavano passare in adorazione. E non solo uomini; donne, decine di donne, ai miei piedi con lo sguardo fisso sulle miei mammelle enormi.”
Guardò Gunther negli occhi. “Ho avuto un orgasmo nel sonno, come non mi capitava da quando avevo quindici anni.”
“Beh, in questi trent’anni la scienza ha fatto passi da gigante, per cui spero che il nostro professore possa fare qualcosa anche per te.”
“Anche per me?” disse la ragazza, rimarcando la prima parola della frase.
“Mi ha chiesto, per iniziare gli esperimenti, di trovargli una volontaria disposta a ‘sacrificare’ il suo corpo per la scienza, e tu sei troppo preziosa per rischiare la tua carriera di modella.”
“Cosa intendi per sacrificare?”
“Semplicemente disposta a sottoporsi ad esperimenti: niente di particolarmente pericoloso.”
“Conoscendoti da un po’, immagino che tu l’abbia anche già trovata, la volontaria…”
“Abbiamo appuntamento da lei oggi, nel pomeriggio. Si chiama Milena…”

Mangiarono in una vecchia trattoria sulla strada del ritorno verso Berlino, e Gunther sembrava gustare ogni cosa di quella giornata con estrema soddisfazione. Fortunatamente arrivarono tardi, pochi tavoli e nessun commensale. Era praticamente la norma che Lisa fosse fissata pesantemente nei luoghi pubblici, quando non addirittura fatta oggetto di attenzioni più pesanti, ma in quel particolare giorno pareva che tutto fosse perfetto.
Anche Lisa stava vivendo questa nuova avventura in uno stato di infantile eccitazione. Nelle sue fantasie immaginava di rivivere nella realtà quanto aveva provato in sogno; di eccitarsi allo spasimo per la venerazione di uomini e donne nei suoi confronti.
Ripresero la strada; questa volta si diressero a Nord di Berlino, in un quartiere popolare nato ai tempi della Germania comunista. Il tempo aveva donato dignità anche a queste massicce costruzioni piene di appartamenti popolari: le strade erano pulite, gli alberi a inframezzare strade e marciapiedi.
“Deve essere qui” disse gunther, facendo segno all’autista di fermarsi. Scesero e si avviarono verso una costruzione a schiera: salirono le scale esterne e cominciarono a percorrere il ballatoio, su cui si aprivano gli ingressi degli appartamenti. Suonarono il campanello; dall’interno un tramestio e dopo qualche minuto la porta si aprì lentamente. Si affacciò una donna dall’aria assonnata; doveva essersi appena alzata dal letto. Era di poco più alta di Lisa, anche se con i tacchi alti questa la sovrastava abbondantemente; il viso era dolce, con due grandi occhi neri e le labbra carnose, ma portava i segni di una evidente stanchezza; i capelli arruffati, un accenno di occhiaie. Si illuminò quando riconobbe Gunther, saltandogli al collo.
“Ciaooo!” La reazione sembrava sincera e mise in imbarazzo l’uomo.
“E tu devi essere....Lisa” disse sorridendo. Lo sguardo cadde inevitabilmente sul grosso seno contenuto da una maglietta bianca sotto ad un giubbotto di Jeans. “Dio, la grande Lisa. Sai dal vivo sei ancora più....più tanta!” accompagnò questa espressione con un gesto delle mani aperte, i palmi verso l’alto. Lisa, al solito, ricambiò l’occhiata e si limitò ad un freddo ciao. Non più di una quarta. Pensò tra sé che ci sarebbe voluto un miracolo, altro che il professor Bohm, per renderla appena accettabile.
Entrarono in un soggiorno in cui sembrava scoppiata la guerra, scatoloni accatastati come in vista di un imminente trasloco.
“Sai, la tua offerta è arrivata proprio al momento giusto: quel bastardo di Helmut, dopo la nascita del piccolo, è sparito lasciandomi un sacco di debiti; e con un bimbo, nel nostro ambiente non è che si lavori...”
Gunther si rivolse a Lisa: “Milena ha lavorato da me ad Amburgo per tanto tempo e ci conosciamo ormai da quasi dieci anni.” Poi, verso la loro ospite: “sono io che ti ringrazio per avere accettato e sono felice di poterti aiutare. Ti ho portato anche un anticipo, nel caso avessi qualche necessità.” Estrasse dalla giacca un rotolo di banconote: contò diecimila Euro, posandoli sul tavolino davanti a loro.
“Gunther, non dovevi...” e poi, rivolta a Lisa: “è sempre stato così buono con noi ragazze!”
“Dimmi piuttosto: con il bambino, tutto bene?”
“Sì sì, ho già preso accordi con mia sorella: lo porto da lei a Lipsia venerdì e rimarrà per un pò di tempo. Tra l’altro questo svezzamento mi sta uccidendo. Sempre attaccato.”
In quel momento si sentirono i vagiti del neonato provenire dalla stanza a fianco, timidi all’inizio, poi sempre più forti. Lisa notò che la camicetta di Milena, in corrispondenza dei capezzoli, si era quasi istantaneamente bagnata.
“Scusatemi” – disse imbarazzata – “ma non riesco a farlo stare zitto senza una tetta in bocca.” Gunther si alzò di scatto, seguito da Lisa. “Non ti preoccupare, togliamo il disturbo. Allora, ti aspetto alla villa, a Postdam, per domenica sera.”
Si congedarono velocemente, scesero ed entrarono sull’automobile in attesa.
“Gunther,” – esordì Lisa.
“Sì?”
“Mi spieghi come pensi di tirarci fuori una modella con due tette appena guardabili da quella lì? Tra l’altro avrà almeno trentacinque anni suonati.” L’uomo la guardò con un sorriso. “Pazienza, abbi pazienza e vedrai...”

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