Ciao a tutti.

Ho creato questo blog allo scopo di condividere con voi la mia passione per la scrittura e per le ragazze dotate di seni fuori dal comune.Ho scritto un romanzo, Lisa & Milena, che pubblicherò a puntate, capitolo per capitolo su questo blog.
Confido nei vostri commenti e nelle vostre critiche.
Per ciò vi ringrazio fin d'ora, Flower.



traduttore

sabato 13 marzo 2010

Capitolo Sesto

Il mattino successivo, quando Lisa scese per la colazione, Gunther era già al tavolo, il giornale aperto di fronte. Come ogni mattina, alzò gli occhi e la salutò cordialmente.
A dispetto degli anni trascorsi insieme, anche nella più totale intimità, tra di loro non vi era mai stato niente. Non che a Gunther non piacessero le ragazze, anzi: ma per Lisa provava fin dal primo momento un sentimento di affetto quasi paterno, e in ogni caso aveva subito capito che Lisa poteva essere un ottimo affare, oltre che un ottimo socio in affari, ma da maneggiare con estrema cautela. Sapeva dell’idiosincrasia che Lisa aveva verso gli uomini, e ciò indubbiamente facilitava il loro rapporto professionale. Lisa non aveva mai avuto una relazione e ciò non sembrava disturbarla. Meglio così.
Nella notte Gunther aveva pensato alla discussione del giorno precedente, e lentamente si era fatta strada in lui un idea; aveva cominciato a fantasticare sulle parole di Lisa e, nel sonno, l’aveva sognata: reale eppure immensa. Era seduta sulla poltroncina, nel suo ufficio di Amburgo: i seni giganteschi, molto più grossi di quanto già fossero nella realtà e appena contenuti in un miniabito bianco teso fino allo spasimo, le si adagiavano sopra alle gambe accavallate. Si era alzata e girando intorno alla scrivania gli si era posta accanto, le mani sui fianchi, sovrastandolo; dalla sua posizione seduta vedeva il suo sguardo divertito spuntare appena dalla profonda scanalatura creata dalle enormi tette.
“Adesso ci credi che Babbo Natale esiste?” le diceva in sogno Lisa. Si era svegliato all’alba, non riuscendo più a prendere sonno.
“Ho pensato a quello che mi hai detto ieri” – esordì l’uomo – “ e stamattina ho fatto qualche telefonata in Germania: potrebbe esserci anche la possibilità di esaudire il tuo desiderio senza scomodare Babbo Natale…” Lisa, che stava addentando una fetta di pane, si fermò di colpo, la bocca aperta. “Mi sono ricordato di questo mio compagno di università e di quello che mi ha raccontato un po’ di tempo fa” – continuò – “e credo che potrebbe darci una mano.”
L’attenzione di Lisa ora era massima. “Tu studiavi all’università?” disse incredula.
“Certo, ero a pochi esami dal diventare dottore, poi mi capitò di andare ad Amburgo e ci sono rimasto fino a quando non ci siamo conosciuti. Una grande perdita per la scienza.”
“Quindi ?” – chiese la ragazza eccitata.
“Quindi domani partiamo per Berlino; ho già organizzato tutto, volo, hotel e tutto il resto. E naturalmente l’incontro con il nostro luminare della scienza.”
Lisa non stava più nella pelle e, come era nel suo carattere, fu di umore radioso fino a sera. Nel pomeriggio fecero il servizio fotografico con le modelle chiamate da Gunther ed il risultato fu spettacolare; Lisa, stesa su una sdraio, si faceva succhiare contemporaneamente le due mammelle dalle ragazze, sfoderando espressioni di pura estasi. Mentre posava, ad occhi chiusi, si immaginava ancora più grossa di quanto fosse e quasi godeva al solo pensiero.

Berlino li accolse, il giorno successivo, con una grigia giornata di pioggia: la massiccia auto nera noleggiata da Gunther lasciò l’aeroporto e lentamente, nel traffico, si diresse verso la città universitaria di Potsdam, secondo le indicazioni che erano state date all’autista. L’acqua scorreva sui finestrini, deformando le figure dei passanti che procedevano speditamente sui marciapiedi, l’ombrello appena proteso in avanti.
Berlino, Università di Potsdam. La curiosità di Lisa cresceva di momento in momento, finché non riuscì più a trattenersi. “Allora, dicevi sul serio quando mi parlavi di un docente universitario... E tu cosa ci facevi all’Università?”
Gunther si girò verso di lei, poi guardò fuori, come a cercare il filo dei suoi pensieri.
“Sono nato e cresciuto qui, nei dintorni di Berlino, nella DDR…”
“Cosa è la DDR?” lo interruppe Lisa.
Gunther la guardò stranito, poi si rese conto di parlare di cose che sembravano essere esistite cento anni prima…così lontane non solo nel tempo ma anche dal comune vivere quotidiano.
Il comunismo, il Muro… Quasi da non credere, anche per lui che ci era vissuto…
“Sai Lisa, ho più del doppio dei tuoi anni, ma abbiamo qualcosa in comune io e te. Qualcosa di molto forte. La prima volta che ti ho vista ho capito che stavi scappando da qualcosa: non tanto un luogo ma una condizione in cui eri costretta a vivere. Mi è piaciuto il tuo coraggio, perché alla tua età io ho fatto lo stesso. Sono fuggito dalla Germania Est a 25 anni. Non sapevo cosa avrei trovato: sapevo cosa lasciavo e ciò mi bastò per decidere. E questo è il motivo per cui non diventai mai dottore…” concluse sorridendo.
L’auto si fermò all’indirizzo prefissato. Si trovavano all’interno di una cittadella universitaria: ampi viali alberati dividevano vecchie costruzioni ottocentesche dall’aspetto imponente, poca gente in strada. Lisa scese, avvolta in uno stretto impermeabile e guardò il palazzo di fronte a sé: l’ampia gradinata conduceva ad un colonnato, sormontato da un timpano in stile neoclassico. Sullo stesso in caratteri gotici, si leggeva: Istituto di Veterinaria. Guardò Gunther, anch’esso fermo sul marciapiede. “Pensa, sono più di quarant’anni che non metto piede da queste parti” disse, con aria nostalgica: prese Lisa sotto l’ombrello e porgendogli il braccio la condusse su per i gradini.
“Istituto di veterinaria? E il tuo amico dottore sarebbe un veterinario?” esclamò la ragazza sbigottita.
“Sì, Dottore in veterinaria, nonché docente presso la famosa Universita’ di Potsdam; un’assoluta autorità della scienza.” Lisa non credeva alle sue orecchie.
“E noi cosa centriamo con i veterinari?”
La situazione pareva divertire Gunther, che non riuscì a trattenere un ampio sorriso.
“Beh, il mio amico Hans Bohm sarà in grado sicuramente di spiegartelo.”
Impegnati nella conversazione, erano entrati nell’edificio e stavano percorrendo un lungo corridoio, i tacchi di Lisa echeggianti nel silenzio generale: una giovane ragazza si fece loro incontro con fare deciso.
“Buongiorno, sono Elizabeth, l’assistente del Dottor Bohm,” – disse in modo cordiale – “Signor Gunther Mayer e... Signorina Lisa, immagino...” Il soprabito era ora slacciato e i suoi occhi caddero sulla bianca camicetta scollata sottostante, fissandosi un attimo più del necessario.
“Esatto, immagina bene, signorina.” Disse Lisa.
Le porse la mano, non guardandola in viso come avrebbe normalmente fatto, ma ricambiando l’occhiata all’altezza del seno: era un suo modo ormai consueto di sottolineare questa piccola mancanza di garbo nella quale inevitabilmente tutte le donne cadevano. Tailleur grigio, camicetta, collant chiari e scarpe basse. Seno pressoché inesistente.
“Il Professore ha appena terminato le lezioni” - disse con un sorriso imbarazzato – “Vi accompagno nel suo studio.”
Percorsero altri corridoi, fino ad arrivare di fronte alla porta dell’ufficio del professor Bohm. La ragazza girò la maniglia senza bussare e li fece accomodare.
La stanza era ampia, le pareti piene di scaffali, e sugli stessi libri, per lo più chiusi in vetrine. Due alte finestre affacciavano su uno splendido parco. Stava smettendo di piovere e le nuvole che velocemente percorrevano il cielo nel pomeriggio ventoso modulavano i raggi di luce trasformando l’ambiente: ora in penombra, ora illuminato.

Passarono pochi minuti: poi finalmente il professore entrò. Lisa non capiva cosa potesse centrare con un gestore di Night club di Amburgo: era un uomo distinto, di media statura, vestito con giacca di tweed e cravatta. Portava una barba curata ed una chioma di capelli bianchi portati all’indietro. Dietro ai piccoli occhiali cerchiati in acciaio si muovevano due vivaci occhi azzurri.
Strinse calorosamente la mano a Gunther e, prendendo la mano che Lisa gli stava porgendo, si dichiaro felicissimo di conoscerla. Girò attorno alla pesante scrivania in rovere e si adagiò sulla poltroncina, le gambe accavallate, i polpastrelli giunti appena sotto il viso. Nel momento di silenzio che seguì il professor Bohm fissò attentamente Lisa, poi disse: “Leggo nei suoi occhi che non riesce a capire perchè sia finita qui...”
Lisa, imbarazzata, sorrise: “Beh, è nato tutto quasi per scherzo, e in realtà... veramente...”
Il professore riempì il vuoto, continuando.
“Io e Gunther siamo decisamente di un’altra generazione rispetto a lei signorina: di più, siamo di un’altra epoca. L’epoca in cui esistevano due Germanie, in cui la normalità era dettata dalla filosofia comunista, in cui tutto doveva essere sacrificato per il bene della nazione. Noi giovani tedeschi dell’Est eravamo figli della patria ancor prima che dei nostri genitori. Gunther ha avuto il coraggio che io e tanti non abbiamo avuto, quello di fuggire e di rinunciare a tutto per la promessa della libertà. L’ho sempre ammirato per questo. Il giorno successivo alla caduta del Muro di Berlino partì da Amburgo e si presentò qui, sulla porta di questo stesso studio, con una bottiglia di champagne in mano!”
Fece una lunga pausa: prese la pipa dal taschino, la riempì e con gesti esperti l’accese. Guardò assorto le volute di fumo alzarsi verso il soffitto, come alla ricerca delle parole per continuare.
“Ora, lei signorina non è tedesca e troverà difficile comprendere la nostra mentalità ed ancor più quella dei tedeschi dell’Est. Discendiamo da stirpi militari, dai prussiani, abituati ai disagi, alle carestie ed alla guerra. La Grande Prussia, non il resto della Germania, ha originato la mente di Friedrich Nietzsche, il mito del superuomo ed anche le sue distorte conseguenze. Ma la Germania ha coltivato il anche il culto dell’uomo, prima che del superuomo: la personalità di ogni individuo come essere unico e inimitabile; tutti concetti così lontani dalla banalità dell’umanesimo imperante nel resto dell’Europa. In questo substrato, così particolare, il comunismo della Germania Est del dopoguerra ha trovato una sua strada, certamente unica e peculiare.”
Si era fermato improvvisamente, come a verificare il livello di attenzione dei due; si avvertiva l’abitudine del professore a parlare in pubblico, agli studenti o magari agli illustri colleghi di facoltà.
“Non le dico questo per giustificare il regime comunista, per carità, ma in alcune sue accezioni, anche a fini scientifici, questa commistione di disciplina prussiana e filosofia marxista diede risultati eccezionali. Pensi per esempio a cosa accadeva in ambito sportivo; la DDR, soprattutto in campo femminile, è stata per decenni una nazione invincibile in quasi tutte le discipline olimpioniche, dal nuoto al sollevamento pesi, dalla ginnastica all’atletica. Tutto ciò era frutto di una volontà, comune a certa parte della comunità scientifica ed ai vertici del potere, di sondare quali fossero i limiti a cui il corpo umano, o superumano, poteva essere portato. Naturalmente vi era anche un aspetto propagandistico, ma questo a noi giovani scienziati interessava poco.”
“Mi scusi” lo interruppe Lisa, “ma tutto questo come c’entra con… noi?”. E disse noi volgendo lo sguardo verso l’abbondante scollatura della sua camicetta. Il professor Bohm sorrise.
“Ha ragione, sto divagando. Per arrivare al punto, una mattina fui convocato in un ministero, qui a Berlino, dove mi proposero di entrare a fare parte di un “gruppo di studio” la cui finalità doveva rimanere segreta. Era nato, pensi un po’, dalla perversione di un eminente esponente del partito verso le donne in allattamento. Fantasticava di portarsi a letto ragazze con seni giganteschi. Questo naturalmente lo seppi molto tempo dopo. Allora mi occupavo della produzione del latte negli allevamenti zootecnici e loro semplicemente mi chiesero se ero disponibile a mettere a loro disposizione, traslandone nel campo umano, le conoscenze acquisite. Volevano, o almeno così mi dissero, aumentare la produzione di latte nelle balie, in modo da garantire un allattamento naturale ai neonati quand’anche le mamme fossero andate a lavorare, come spesso succedeva, nelle miniere o nei cantieri navali.”
Avvertì il calo di concentrazione della ragazza, quindi decise di stringere.
“Non sto ad annoiarmi con dati scientifici sul livello di prolattina o altri ormoni nel sangue delle gestanti. La sostanza era che, mentre le vacche producono latte continuamente per anni, nell’essere umano questa capacità è connessa alla gestazione ed al parto: volevano creare una donna, che potesse allattare continuamente a prescindere dal suo stato: in cui le ghiandole mammarie, i dotti galattofori, i capezzoli, tutto fosse modificato, ipertrofizzato per raggiungere lo scopo finale.”
“E ci riusciste?” chiese incuriosita Lisa.
“Beh, ottenemmo risultati veramente…interessanti, direi. Anche se mai apparsi in nessuna pubblicazione scientifica, ovviamente.”
A quel punto Gunther e Lisa pendevano dalle sue labbra; e, con i tempi perfetti di un attore, aprì un cassetto della scrivania e ne estrasse un voluminoso fascicolo, posandolo sulla scrivania. Lo aprì e ne estrasse una cartellina più piccola, verde, con sopra un nome scritto a mano, in corsivo, e una sigla. Greta SV 14279. La posò di fronte ai due, chiusa.
La ragazza guardò il numero e rimase per un attimo, esitante. Se esistono i segni del destino, beh, ne aveva uno proprio lì di fronte a lei.
Gunther e Lisa si sporsero contemporaneamente in avanti: fu Lisa ad aprirla con cautela.
La foto che apparve, benché in bianco e nero, non lasciava dubbi. Greta, se così si chiamava la ragazza ritratta, era presa di profilo; stava a carponi su di un tavolo di marmo, la figura esile. I suoi seni mastodontici si poggiavano mollemente sul ripiano di marmo. Nella pagina successiva era in piedi, quasi una foto segnaletica per via delle due angolazioni:, di fronte le smisurate mammelle le scendevano a livello dell’ombelico: dal fianco si intuiva come, nonostante le incredibili dimensioni, ben lungi dall’appiattirsi sul corpo della ragazza, gli immensi seni si protendessero in avanti.
Il professor Bohm si gustò l’effetto sui due. Anche Gunther, solitamente compassato, era rimasto attonito, a bocca aperta. Il dottore ruppe il silenzio con fare noncurante.
“Greta è stata forse il nostro miglior risultato. Produceva 6 litri di latte giornalmente per ciascuna mammella, quantità ritenuta di tutto rispetto anche per una giovane mucca frisona. Naturalmente doveva essere sottoposta ad apposita mungitura per ciò…”
Lisa alzò lo sguardo verso di lui, la bocca secca ed i capezzoli eretti sotto alla camicetta, e ciò che ne uscì aveva un tono stridulo dettato dall’incredulità. “Dottore, lei è un genio!”.
Guardò ancora la foto, quasi stordita. Stupiva la perfetta simmetria, le areole alte e definite, i superbi capezzoli.
“Voglio assolutamente avere un seno così. Subito.” Pareva guardarsi intorno, quasi alla ricerca di un lettino su cui spogliarsi. Il professore sorrise divertito.
“Questi fatti sono successi tanti anni fa, signorina. E voi siete venuti a conoscenza della cosa solo grazie alla profonda amicizia che mi lega a Gunther: vorrei che tutto ciò che avete visto e sentito rimanesse tra noi.” Richiuse la cartellina e la risistemò nel faldone, chiudendolo.
“Terminando il discorso di prima: devo dirle che anche queste espressioni così inusuali, o per qualcuno forse aberranti, della ricerca medica diedero i loro frutti; qui nella DDR negli anni settanta furono fatte le prime sperimentazioni con steroidi sintetici, ormoni, finanche cellule staminali. In questo caso specifico le cellule staminali animali ricavate dalla placenta delle giumente ebbe un ruolo determinante. Ma a volte anche la scienza si deve arrendere di fronte alla natura.”
“Ma i risultati ci furono,” - disse Gunther – “e quelle foto lo testimoniano”.
“E’ vero, riuscimmo a modificare il corpo umano, fino a creare delle vere e proprie giumente, ma il punto di partenza non lo decidemmo noi, e non fummo mai in grado di farlo.”
Lisa si stava perdendo. “Quindi in parole povere questo cosa significa?” intervenne.
Il professore, con il sorriso sulle labbra, le rispose.
“Significa che la condizione necessaria per la riuscita di una trasformazione del genere è che il soggetto sia incinta o abbia partorito da poche settimane.”
Per Lisa fu come un pugno nello stomaco: ripetè mentalmente l’ultima frase del dottore e poi, lentamente, senti l’irritazione salire dentro di sé. Si alzò, quasi di scatto, protese la mano sopra la scrivania in segno di congedo e, incurante di Gunther che la guardava divertito, uscì dallo studio sbattendo la porta.

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