Le tre settimane che seguirono furono per Lisa esaltanti. Volarono in California e tutto cominciò nel migliore dei modi, con la sottoscrizione di un contratto multimilionario, dopodiché lei e Gunther si diedero subito da fare per alleggerirsi la coscienza. Frequentarono i migliori locali di Hollywood, fianco a fianco con le star del cinema: un attore americano, incrociato per caso in un ristorante, si prese la briga di fare riempire la stanza d’hotel di Lisa con centinaia di rose rosse. Naturalmente fu ignorato.
Volarono poi con un jet privato a Las Vegas, dove il trattamento che ti riservano è direttamente proporzionale al tuo conto in banca. Nel loro caso, vuoi che la voce della firma del contratto li avesse preceduti, una Limousine li prelevò all’aeroporto scaricandoli direttamente nella miglior suite dell’hotel più lussuoso della città. Tre giorni di vizio e gioco d’azzardo, dove incredibilmente Lisa riuscì addirittura a portare a casa più soldi di quanti ne avesse all’arrivo. Da lì a Philadelphia e poi Hamilton, Bermuda.
Gunther aveva affittato una stupenda villa sul mare ed i giorni passavano lenti nel susseguirsi di battute di pesca e partite di golf. Per la verità Lisa, vista l’insistenza del suo socio in affari, aveva provato a cominciare a giocare a golf, ma si era resa conto ben presto che la sua conformazione fisica non era compatibile con il gioco: non riusciva proprio a stringere le braccia davanti a sè, per via del seno, e quand’anche ci fosse riuscita, non riusciva quasi a vedere la pallina. Decise quindi per interminabili massaggi Thai e continui trattamenti di bellezza. La piccola orientale che veniva a domicilio, nel vederla nuda la prima volta rimase pietrificata, quasi in soggezione nel dover mettere le sue piccole mani su quella donna dalle curve esagerate: dopo qualche giorno il corpo di Lisa, nella sua soffice abbondanza, era diventato per lei un oggetto di venerazione. Continuava a ripetere. “Non è possibile lei non abbia una sola smagliatura! Lei non umana!” E con l’andare del tempo anche Lisa si stava convincendo che sì, forse lei non era di questo mondo.
Il tempo sembrava essersi fermato; niente obblighi, niente scadenze, solamente pace e tranquillità.
Il momento del ritorno in Europa arrivò, inatteso ed indesiderato.
Stavano volando sull’Atlantico, nell’oscurità del cielo stellato, il ronzio dei motori in sottofondo. Lisa stava ripensando a quelle ultime tre settimane e si girò verso Gunther, addormentato lì al suo fianco. Quell’uomo l’aveva quasi raccolta per strada e ne aveva fatto una modella di successo. Di più, aveva trovato una ragazzina complessata e ne aveva fatto una donna. Le aveva messo a disposizione tutto ciò che si poteva desiderare: il denaro per poter permettersi ogni cosa; la fama, non invadente ma discreta, come solo il web ti può dare, senza l’obbligo di presenziare a cerimonie o programmi televisivi: ma soprattutto le aveva dato la libertà di poter disporre di ogni momento della sua vita come più le piaceva.
Provò d’un tratto come un sentimento di riconoscenza per quell’uomo, e se ne stupì. Non era da lei, anzi: negli anni si era quasi imposta di non provare sentimenti per nessuno. Certo, nei confronti degli uomini era facile, poiché aveva sempre pensato a loro come ad una razza inferiore: così guidati nelle loro decisioni dall’istinto animale, così facili da ammaliare e sottomettere ai propri desideri. Nei confronti delle donne provava quasi sempre un sentimento di antagonismo sfrenato, soprattutto nei confronti di quelle che provavano a mettersi al suo livello. Non aveva amicizie, e nemmeno le mancavano: aveva se stessa e tanto gli bastava.
Ad occhi chiusi provò ad immaginare il suo arrivo alla villa: l’accoglienza del dottor Bohm, le sue piacevoli attenzioni, l’inizio delle terapie in uno stato generale di eccitazione, ed il suo seno che giorno dopo giorno cresceva, cresceva.... Si addormentò con le mani infilate sotto alla coperta della compagnia aerea, a soppesare quelle due meraviglie che già immaginava smisurate.
“Io sulle berline non ci salgo più” – aveva detto a Gunther prima di partire.
Il viaggio era stato faticoso: Madrid, poi Ibiza dove dovevano assolutamente essere presenti ad una sessione fotografica e, dopo qualche giorno Berlino. Agli arrivi dell’aeroporto era ad aspettarli un gigantesco Hummer nero. Non c’era niente da dire: quell’uomo sapeva come trattarla. Si adagiò comodamente sui sedili posteriori e pregustò il momento dell’arrivo: sentiva dentro di sé uno stato di eccitazione crescente.
Nel tempo trascorso lontano da quella casa, i contatti erano stati pochi, giusto qualche generica telefonata. Il professore Bohm aveva richiesto a Gunther la massima riservatezza sugli esperimenti che si stavano conducendo, e soprattutto che non trapelasse il suo nome in nessun modo. Lisa e Gunther non sapevano perciò cosa aspettarsi, a parte le vaghe rassicurazioni che tutto stesse andando per il meglio.
Il grosso fuoristrada arrivò a destinazione all’imbrunire: risalì la strada di accesso e si fermò sullo spiazzo ghiaiato. Aprì la porta una giovane ragazza il cui volto ricordava a Lisa qualcosa...
“Elizabeth, l’assistente del dottor Bohm.” – disse sorridendo, come ad anticipare la domanda. “Oggi abbiamo fatto un pò tardi con il lavoro ed il professore mi ha pregato di rimanere...”
A Lisa non sfuggì che la ragazza, che ricordava assolutamente piatta, ora aveva almeno una quinta di seno.
“Anche lei in terapia?” chiese.
La ragazza arrossì. “Beh, a dire il vero è stata una idea... del mio ragazzo, ed il dottore ha pensato che potesse essere utile...”
Non immaginava che ci potesse essere tanta gente disposta al sacrificio per il bene della scienza.
Salirono al piano superiore per rinfrescarsi e cambiarsi d’abito: poco dopo si ritrovarono seduti al tavolo della sala da pranzo. Oltre a Lisa e Gunther, il professor Bohm ed Elizabeth, la sua assistente.
Gunther si informò circa l’assenza di Milena, che Lisa si era ben guardata dall’evocare.
“Milena si scusa, ma è rimasta di sopra nella sua camera: oggi ha avuto una giornata faticosa e spera di potervi salutare domani mattina.” – disse il professore.
“E così, cosa ci racconta degli esperimenti in corso?” chiese Gunther.
“Abbiamo iniziato, poco dopo la vostra partenza, la seconda fase: abbiamo apportato alcune modifiche al protocollo medico, per così dire, e i risultati sono molto incoraggianti.”
“Ovvero?” chiese Lisa.
“Beh, c’è stato un notevole sviluppo del tessuto mammario, devo dire in modo molto ben proporzionato, oltre ad un forte aumento nella produzione di latte materno.” Volse lo sguardo verso Elizabeth.
“Elizabeth, che voi avete conosciuto all’Università, ha accettato di sottoporsi ad un ciclo di terapia, diciamo, parallelo a quello previsto, e al momento non risultano esserci effetti collaterali...dico bene, signorina?”
“No, no, sto bene.” Chinò lo sguardo sul piatto, con un sorriso che nascondeva imbarazzo. “A parte il fatto che il mio ragazzo non mi toglie più le mani di dosso...”
“Vi sono anche effetti collaterali auspicabili, signorina. La medicina è piena di casi di sperimentazioni in cui la manifestazione degli effetti collaterali è risultata più decisiva, per la scienza, della terapia stessa.”
Il dottor Bohm era di evidente buon umore quella sera, e continuò ad intrattenere i commensali con storielle divertenti. Pareva che le sessioni di esame di veterinaria fossero una fonte inesauribile di aneddoti.
Lisa ascoltava, compiaciuta dall’atmosfera e dalle continue occhiate della ragazza verso il suo enorme seno.
Scommetto che ci ha preso gusto con il suo ragazzo, - pensava tra sé – con due tettone come le mie potrebbe ridurlo ad uno straccio d’uomo in una settimana.
La serata volse al termine così, tra l’allegria generale.
“Devo proprio andare” – disse ad un tratto Elizabeth guardandosi l’orologio da polso – “è veramente tardi.”
“Se vuole rimanere qui a dormire, non ha che da dirmelo e le faccio preparare una stanza” – disse Gunther in modo cordiale.
“Grazie, preferisco tornare. A domani mattina.”
“Ti accompagno all’auto.” Intervenne Lisa. Uscirono insieme, nell’aria fresca della sera, conversando a proposito della serata.
“Sigaretta?”
“Sì, grazie.”
Stettero lì. Appoggiate al cofano dell’automobile dell’assistente per un po’. Lisa ispirava profondamente, il bagliore della brace a rischiararle il viso a intermittenza.
“Allora com’è?” disse ad un tratto.
“Com’è cosa?”
“Beh avere tutto ad un tratto un seno così…voglio dire…” si fermò come a cercare le parole.
“Sai, io ce l’avevo a tredici anni un seno così, per cui non ho mai….”
“Oh… è veramente poca cosa in confronto a quello che hai tu. Ma non avrei mai pensato che il mio ragazzo potesse reagire così. Ti giuro, è lì continuamente a sbavarmi addosso. Sta perfino diventando un problema…”
Girò lo sguardo verso di lei e continuò.
“Penso che se si trovasse di fronte una come te potrebbe avere letteralmente un infarto…”
“E quando ti tocca…ti piace?”
Elizabeth sorrise. “Sai, prima avevamo qualche problema di… intesa, diciamo. Ora i seni mi sono diventati iper sensibili, basta che li faccia muovere nel modo giusto e …”
“E…?”
“Beh, mi piace, fino quasi a venirne.”
“Capisco…” In realtà Lisa non capiva. Non poteva capire perché nessun uomo l’aveva mai toccata così. Lo sguardo si perse in lontananza, le rade luci delle case nel buio dei campi.
“Sta rinfrescando; forse è meglio che rientri.”
Si salutarono con calore, tre baci guancia a guancia, seno contro seno. Poi Lisa rientrò.
martedì 27 aprile 2010
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento