Aveva dormito durante il volo: la hostess di bordo l’aveva svegliata poco prima dell’atterraggio.
Aiutandola ad allacciare la cintura le aveva esercitato, con il gomito, una lieve ma continua pressione sul seno. Al suo sguardo stupito era arrossita e aveva sussurrato qualche parola di scusa. “No, no, tocchi pure, se crede; sono vere.” La ragazza era diventata paonazza.
Le piaceva provocare queste reazioni nelle donne che la facevano oggetto di attenzioni. Le faceva pensare che il fascino del suo corpo potesse in qualche modo travalicare la sessualità delle persone.
“Sono, sono così...imponenti!” disse imbarazzata chinandosi. Lisa buttò l’occhio nella scollatura della ragazza e giudicò mentalmente: quarta misura, coppa B. Nessuna speranza, nel suo mondo.
L’automobile mandata da Gunther l’aveva prelevata all’aeroporto sul fare della sera: una misera berlina Mercedes. Odiava le berline: le sembrava sempre di soffocare al loro interno ed entrare ed uscire, con borse, scarpe con il tacco e tutto ciò che inevitabilmente si portava con sé, era sempre assurdamente scomodo. Si disse che doveva farlo presente: la prossima volta non sarebbe salita su niente di più piccolo di un SUV. Ma in quel momento era stanca ed imprecando vi entrò.
Il cambio di paesaggio, per via del sonnellino fatto in aereo, le sembrò immediato: si trovò quasi spaesata nel guardare dal finestrino quel panorama così diverso ed inospitale. Poi, quando uscirono dal traffico della città, la luce calda del tramonto gettò riflessi dorati sui vetri delle case e sulle chiome degli alberi, pervadendo tutto di una dolce quiete.
Erano passate circa tre settimane dal loro primo viaggio e Lisa non sapeva cosa aspettarsi: la sera prima, ripensandoci, era giunta alla conclusione che non poteva essere vero . Quel reggiseno doveva essere in qualche modo imbottito: quei seni non potevano essere reali. Ricordava bene come era, Milena, in quell’appartamento popolare fuori Berlino; assolutamente insignificante, almeno da quel punto di vista. Oppure, pensò, Milena aveva una sorella gemella con due tette paurose e Gunther ne aveva approfittato per architettare quello stupido scherzo. Poi però pensava anche che le ghiandole mammarie di Greta, la ragazza degli esperimenti, quelle sembravano in tutto e per tutto reali: la forma, le linee dei contorni, le ombre che proiettavano sul corpo magro. Si era fatta una certa esperienza di ritocchi fatti al computer.
In conclusione era dibattuta tra le due cose: voleva credere che ciò fosse possibile, ma istintivamente rifiutava che potesse accadere ad un’altra donna.
Così, mentre seguiva i suoi pensieri, arrivarono nei pressi della villa di campagna: riconobbe la strada sterrata che saliva la collina e, attraversando il bosco, giunsero infine nel grande spiazzo antistante. Era ormai quasi buio e dalle finestre illuminate grandi riquadri di luce si proiettavano a terra. Il portone si aprì, ancor prima che lei si avvicinasse ed apparve Gunther, sorridente.
“Lisa, finalmente!” le disse facendosi incontro. La abbracciò con un calore insolito per la sua indole normalmente controllata. “Ti stavamo aspettando per andare a cena: ho invitato anche Hans per l’occasione.” Poi aggiunse, quasi sottovoce: “veramente si è autoinvitato; credo che non vedesse l’ora di rivederti. Faccio strada.”
Entrarono nel grande atrio, e da questo nella sala attigua, le cui luci aveva visto dall’esterno, arrivando. A fianco del gran camino acceso, a dispetto della stagione, stavano il professor Bohm e Milena, quasi sull’attenti nell’attesa. Fu l’uomo a salutarla cordialmente per primo: le chiese del viaggio e delle sue giornate ad Ibiza. Milena, quasi imbarazzata, le stava dietro, come in attesa di un cenno di saluto. Sapeva della crisi di nervi dei giorni precedenti e non osava fare il primo passo.
Lisa cominciò invece a conversare con il dottore, ignorandola. Le aveva gettato una rapida occhiata appena entrata sulla soglia: il maglione copriva un seno più che abbondante, non sapeva dire se vero o falso. Certo le cadeva in modo molto naturale. Ora si imponeva di non riguardarla, a conferma dell’una o dell’altra verità. Se fosse stato uno scherzo Gunther gliela avrebbe pagata a caro prezzo, pensò tra sé.
Fu Gunther stesso a cercare di stemperare la tensione che si avvertiva e, in un momento di pausa, abbozzò una specie di presentazione.
“Lei è Milena; te la ricordi, no?” Lisa girò lo sguardo, dal professore a Gunther e replicò: “Secondo te?” Nessuno aggiunse altro.
Lisa si sforzava di mantenere un contegno distaccato, quasi fosse lì in visita di cortesia; in realtà moriva dalla voglia di sapere cosa stava veramente succedendo in quella casa. Fu annunciata la cena e Gunther fece strada, verso la sala da pranzo. Guardandosi intorno, Lisa notò quanto tutto fosse assolutamente giusto in quella casa, tutto così ordinato ed appropriato. Pareva veramente di essere tornati indietro nel tempo, nella dimora di una nobile famiglia dell’ottocento. Persino la luce, pareva unicamente diffondersi dai tanti candelieri accesi.
La cena era assolutamente superba, e Lisa non mancò di notare che vi era tutto quello che a lei piaceva: pesce, ostriche del Mare del Nord, una gigantesca aragosta dal profumo inebriante. Era tipico di Gunther, trattarla come una regina, soprattutto se avvertiva che aveva qualcosa da farsi perdonare. Da perfetto padrone di casa intrattenne gli ospiti in modo amabile, raccontando episodi legati alla sua infanzia e a quei luoghi. Pareva, agli occhi di Lisa, veramente un altro uomo, in questa cordialità così confidenziale: ma la sua voce le arrivava alle orecchie come attutita, una sorta di brusio di sottofondo. I suoi pensieri erano altri: girava lo sguardo velocemente da un volto sorridente all’altro, poi di passaggio sul seno di Milena, come a ricercare una minuscola incrinatura in quella recita allestita per lei. Perchè ormai ne era convinta: tutto era troppo naturale per essere ciò che sembrava.
Al termine della cena si trasferirono in un salottino. Lisa, che raramente fumava, accettò una sigaretta dal professore e, nel modo più noncurante possibile, gli chiese come procedevano gli studi. Disse studi, e non esperimenti, appositamente, perchè non voleva che si avvertisse curiosità nelle sue parole; lasciava al dottore anche la possibilità di parlarle di tutt’altro, magari di qualcosa correlato all’attività universitaria.
Invece il Professor Bohm, con un sorriso comprensivo, andò subito al punto.
“Stiamo replicando i protocolli già messi in atto anni fa, e devo dire che i risultati sono di estremo interesse. Naturalmente la tecnologia dei giorni nostri rende tutto più semplice, ed il laboratorio attrezzato dal mio amico Gunther non ha niente da invidiare ai più avanzati centri di ricerca...” Lisa, seduta su un divano con le gambe accavallate, lo guardò sporgendosi in avanti, come incoraggiandolo a continuare.
“La nostra signorina, Milena, sta rispondendo molto bene alla terapia. In questa prima fase stiamo inducendo il suo organismo alla produzione di alcuni ormoni essenziali, quali appunto la prolattina, per la crescita delle ghiandole mammarie. La seconda fase, che inizierà a breve, prevede la somministrazione di ormoni di derivazione animale, oltre alla stimolazione meccanica.” Diceva questo in modo del tutto naturale, mentre Lisa, ad ogni parola spalancava gli occhi.
Alla fine trovò il coraggio di chiedere. “E per quella cosa....sa....sul fatto che bisogna essere in gravidanza...”
“Stiamo lavorando anche su quello, e credo che potrebbe essere un ostacolo superabile. Naturalmente avremo bisogno di altre volontarie che non abbiano la condizione post parto di Milena. Ho parlato con Gunther di questo, e crede che non ci siano problemi a reperire una o due ragazze con la... diciamo vocazione per la scienza.”
Disse ciò sorridendo, ma la ragazza era di tutt’altro umore. “Dottore,” – interloquì Lisa – “Conosco bene Gunther, siamo soci in affari da anni, e sono sicura che non avrà niente in contrario se le dico che non ci saranno altre volontarie. Io sarò la prossima che si sottoporrà alle sue cure.”
La guardò perplesso: “Vede signorina, proprio perchè siete soci in affari Gunther pensa che il suo corpo sia troppo prezioso per essere sottoposto ad una sperimentazione che, comunque, anche se in modo molto limitato, può comportare dei rischi per la salute. Certo, lei sarebbe sicuramente un soggetto ideale e non ho dubbio che risponderebbe molto bene alle nostre terapie...”
“Bene, allora sappia dottore, cazzo, che se non sarò io, non sarà nessun altra.” E detto ciò si alzò, come per andarsene. Il tono di voce irritato di quest’ultima frase attirò l’attenzione di Gunther e Milena che stavano sulla terrazza antistante.
Rientrarono e Milena si sentì come in dovere di congedarsi.
“Scusatemi, ma sono stanca e credo che andrò a fare una bella dormita,” disse.
Uscendo, si trovarono entrambe sulla porta, quasi incastrate, i seni a sfiorarsi uno con l’altro. Milena accentuò la pressione, avvicinandosi all’orecchio dell’altra, e le disse piano: “Mi piacerebbe che fossimo amiche: vieni a trovarmi quando vuoi, sto nella stanza in fondo al corridoio di sinistra.” Poi sfilò delicatamente e se ne andò.
Lisa aveva sentito il contatto dei capezzoli. “Cazzo”, - pensò – “sembrano proprio veri.”
Aveva bisogno di tranquillanti, subito. Diede la buonanotte al Dottor Bohm e chiese a Gunther di accompagnarla nella sua stanza. Primo piano, corridoio a sinistra, seconda porta a sinistra. Prima di entrare guardò la porta chiusa in fondo.
La cameriera le aveva preparato tutto, disfatto le valige, il pigiama di seta sul letto, i beautycase nella stanza da bagno. Troppo ordine.
Si preparò, lavandosi con cura sotto la doccia e massaggiandosi i grossi seni con olio aromatico. Mise il pigiama e si infilò sotto le coperte.
Sapeva di non avere sonno, nonostante i tranquillanti. Fissando il vecchio soffitto a cassettoni, sentiva un tarlo che si faceva strada nella sua testa; la voglia di andare a vedere cosa era veramente Milena.
Erano veramente sue quelle tette cresciute a dismisura in così poco tempo? E se sì, potevano sembrare naturali, anche al tatto, o erano la replica di una di quelle mostruosità al silicone che vedeva continuamente sui giornali?
Così mentre seguiva i suoi pensieri, insonne nell’oscurità, sentì un rumore ritmico, prima leggero e poi sempre più deciso. Non voleva sbagliarsi, ma le sembrava come il cigolio di un letto. Dopo poco il cigolio divenne un tonfo sordo, come di testiera che sbatte contro un muro ed allora fu chiaro, in modo inequivocabile, che qualcuno stava scopando. E a giudicare dai mugolii soffocati che iniziarono ad arrivare, si stava pure divertendo...
Allungò le mani sotto il pigiama, verso le cosce, accarezzandole, per risalire verso la vagina. Poi, finalmente, il sonno prese il sopravvento.
mercoledì 14 aprile 2010
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