“Aprila” – disse l’uomo.
Lisa tirò a sé la busta e guardò dentro, poi estrasse quello che era il suo primo stipendio. Cominciò a contare le banconote, poco meno di mille euro.
Rimase lì ferma con i soldi in mano, pensando che non aveva mai visto tanti soldi tutti in una volta. Gunther sembrò volerla anticipare dicendo: “Lo so, è veramente una miseria, ma questo è l’inizio; possiamo fare molto meglio.”
La ragazza lo guardò con aria interrogativa: così lui si senti in dovere di spiegare.
“Vedi Lisa, il palco, la passerella su cui ti esibisci ogni sera là sotto non è il locale, come tu starai pensando; quella è solo la vetrina...” Lisa continuava a non capire.
“Dietro al palco, a fianco dei camerini ci sono quattro salottini in cui le ragazze accolgono i clienti più generosi tra uno spettacolo e l’altro. Niente sesso, solo esibizioni private estremamente pulite. Potresti triplicare il tuo stipendio già dalla prossima settimana.” Lesse l’incertezza nello sguardo della ragazza – “naturalmente non sei obbligata a farlo...”
Lisa si guardava intorno con aria smarrita. Poi disse: “No... non è che non voglia. E’che....”
“Sì...” - l’incoraggiò Gunther.
“Io non voglio essere toccata. Da nessuno.”
L’uomo replicò nel modo più naturale possibile. “Béh, è una tua decisione rispettabile e non vedo dove stia il problema. Nessuno ti toccherà.”
“No, vede, io ho il vero terrore di essere toccata, non potrei tollerarlo...”
Ora era Gunther a non capire, per cui si sporse in avanti, come in attesa di una spiegazione.
A Lisa piaceva Gunther, le aveva ispirato fiducia fin da subito; parlava poco ma le sue parole erano dirette e piene di significato. Le piaceva ancor più questo atteggiamento distaccato, verso il suo lavoro e verso lei e le altre ragazze. Era l’unico uomo che avesse mai conosciuto che per prima cosa la guardasse dritto negli occhi.
A volte, stranamente, è più facile parlare delle cose più intime con le persone che meno ti conoscono: così decise di raccontare a lui quello che non aveva detto mai a nessuno.
Raccontò di quella vacanza estiva su di un’isola danese con la famiglia di una sua amica e di come il padre di lei la avesse presa con la forza, in un capanno sulla spiaggia; raccontò la libidine che aveva letto nei suoi occhi, la paura e l’umiliazione provata; nello smarrimento adolescenziale seguito a quel giorno non condannò il colpevole, ma la sua diversità, il suo corpo così esageratamente femminile, i suoi seni da donna ormai fatta sul corpo di una tredicenne. Da allora aveva cercato inutilmente di nascondere la sua femminilità, che anno dopo anno cresceva prepotentemente facendo di lei una donna tra le sue compagne ragazzine. Nessun uomo l’aveva anche solo toccata da allora, il solo pensiero le provocava un malessere fisico prossimo alla nausea.
Alla fine stettero così, in silenzio, lei con gli occhi bassi, lui fissandola intensamente. Poi Gunther disse: “Mi dispiace e ti capisco: la vita riserva sempre sorprese, qualche volta buone, più spesso cattive. Ho imparato che comunque è sbagliato chiudere la porta in faccia alla realtà, se non si vuole che tutto diventi un susseguirsi di occasioni perdute. A te la scelta; io posso garantirti che nessuno potrà – o sarà in grado di toccarti.”
Lisa lo guardò. “Magari potrei provare...se funziona.”
La sera successiva Lisa provò un’altra esperienza che la cambiò profondamente.
Si preparò nel camerino, ormai suo e personale, guardandosi allo specchio. In quei pochi giorni ad Amburgo era cambiata come non mai negli anni precedenti; aveva acquisito una nuova consapevolezza di sé stessa e quello che vedeva, il suo corpo riflesso nello specchio a figura intera, le piaceva forse per la prima volta.
Indossava un completo nero di seta semitrasparente, mutandine e reggiseno, la cui traslucenza sottolineava morbidamente le sue forme, lasciando intravedere tutto ciò che tentava di nascondere; reggicalze, calze , scarpe con tacchi, per lei abituata agli anfibi esageratamente alti. Sopra il tutto una vestaglia stretta in vita da un nastro nero, anch’essa in seta trasparente, la cui scollatura lasciava vedere il solco profondo tra gli enormi seni. Si truccò, raccolse i capelli in una coda di cavallo ed uscì. Sul corridoio l’attendeva Gunther che senza parlare le sorrise; le fece strada fino davanti alla porta del privée e l’apri.
Lisa entrò. La stanza, dal soffitto basso, era immersa in un’oscurità diffusa: uniche luci due lampade con paralume in stoffa che rischiaravano l’ambiente di una luce calda e dorata. Le pareti sembravano rivestite di stoffa arabescata, di un pesante rosso scuro; su quella laterale stava un divanetto rivestito in velluto, anch’esso rosso, ed un piccolo tavolino in legno. Telefono, bottiglia d’acqua, posacenere.
Stranamente, di tutto ciò, l’ultima cosa che vide era, al centro della stanza, una pesante sedia in legno, con seduta e schienale in pelle. Era fissata al pavimento mediante robuste piastre d’acciaio e al di sopra di essa era un uomo, Lisa non sapeva dire se giovane o se vecchio, con le braccia, le gambe ed il torace legati alla poltroncina tramite cinghie di cuoio. La cosa le piacque. Le sembrava, chissà perché, di essere un enorme felino alle prese con la sua preda spaventata.
Ora, Lisa era già allora una ragazza alta 1,72 e con i tacchi superava abbondantemente l’1,80.
La sua presenza, ancor più perchè avvolta in quella vestaglia fluttuante, sembrava riempire l’intera stanza. Si avvicinò lentamente a lui e girò attorno alla sedia. Il suo incedere era accompagnato dal lento ondeggiare delle sue grosse mammelle e dalla scia del suo profumo.
Gli si fermò di fronte a gambe semiaperte guardandolo negli occhi, a poco meno di un metro, fece un respiro profondo inarcando la schiena, lentamente si slacciò la vestaglia e l’aprì, facendola scivolare sulle spalle. Dal suo punto di vista l’uomo vide un enorme reggiseno nero che sembrava coprire il soffitto. Poi Lisa si chinò lentamente in avanti, offrendo alla sua vista il profondo solco che divideva i seni.
L’uomo aprì la bocca ma nessun suono ne uscì. Sembrava ipnotizzato, incapace di staccare gli occhi da quella visione.
Lisa si voltò, porgendo alla vittima la sua schiena perfettamente eretta e percorsa dal solco della spina dorsale, le lievi fossette sopra i glutei; fece scorrere le mani dal basso su verso le scapole, a cercare la chiusura a 7 gancetti. Lentamente li fece scattare ad uno ad uno, con movimento sicuro, fino a quando il reggiseno perse ogni tensione. Poi, incrociando le braccia sul davanti, sfilò le spalline, lasciando cadere l’indumento ai suoi piedi. Girò lo sguardo verso l’uomo, al di sopra della spalla, come a coglierne l’effetto: l’uomo, benché paralizzato, pareva percorso da un fremito incontrollabile.
Lisa sentiva di avere il controllo di ogni movimento che faceva, come se lo avesse sempre fatto. E questa naturalezza, sconosciuta fino ad allora, la rendeva estremamente sensuale.
Si diresse verso il divano e si sedette, mostrandosi nuda e sontuosa; si appoggiò appena allo schienale ed aprì le gambe, le braccia lungo i fianchi. Portò il dito indice alla bocca, succhiandolo, e poi lentamente la mano scivolò, dal collo giù per l’interminabile curva della sua mammella destra fino al capezzolo, lo sguardo concentrato su di essa.
Inumidì l’areola rosata e delicatamente strinse il capezzolo tra l’indice ed il medio: continuò a giocherellare così, fino a quando lo stesso non cominciò a gonfiarsi per l’eccitazione. Alzò lo sguardo di sottecchi sull’uomo, come a cercare la sua reazione. Stava sudando e fremendo come un animale.
Tutto ciò stava accadendo, e Lisa non sapeva spiegarsi il perché; era come un attrice che stava interpretando alla perfezione una copione già scritto, ma allo stesso tempo era una spettatrice ammutolita ed inconsapevole di quello che sarebbe successo.
Quando alzò lo sguardo sul suo dimenticato e fortunato spettatore si accorse che aveva perso conoscenza.
Lisa fu sempre grata a Gunther per averle permesso, con il suo consiglio, di provare una esperienza simile: dopo quella prima volta la cosa si ripeté, pressoché tutte le sere, ed ogni sera Lisa provava un piacere unico nel mostrarsi davanti ad una persona completamente inerme, soggiogata fisicamente e sottomessa psicologicamente a lei.
Perché questo erano gli uomini che aveva davanti: uomini che l’avevano in qualche modo sfidata richiedendo le sue prestazioni e che irrimediabilmente uscivano battuti ed asserviti al suo corpo, in quella stanza.
Come novelli Ulisse, legati all’albero maestro della nave ed incantati dal canto delle sirene, sfidavano i precetti degli dei fallendo miseramente, dimostrandosi animali prima che uomini, e al tempo stesso cercando con tutte le loro forze l’appagamento dei propri istinti senza ottenerlo.
Al termine degli incontri Lisa raccoglieva i propri indumenti e lasciava la stanza senza una parola, un ultimo sguardo all’uomo legato, a sancire la sua superiorità, e si dirigeva nel suo camerino. In piedi, davanti allo specchio, si guardava con compiaciuta soddisfazione, soppesando con le mani quegli enormi seni che la natura le aveva donato, stringendoli uno all’altro e abbandonandoli al loro dondolio. Non di rado si adagiava sul divano e, infilando la mano dentro alle mutandine ancora bagnate, seguiva con le dita il contorno della vagina e ne stimolava il clitoride, portando a termine quanto aveva cominciato nella stanza accanto. Nessun uomo avrebbe mai meritato tanto.
Bravo!
RispondiEliminaHo letto tutto d'un fiato anche il terzo capitolo!Aspetto il quarto!;-)